Giovedì 21 febbraio, presso la Sala consiliare di Artegna, circa cento ragazzi e giovani d’età compresa tra gli 11 e i 25 anni provenienti dai comuni di Artegna, Gemona, Majano e Osoppo si sono confrontati sui temi del volontariato e della partecipazione. Lo hanno fatto a partire dalla visione del filmato I protagonisti siamo noi che raccoglie la testimonianza di alcuni giovani – molti dei quali impegnati nel volontariato, altri lontani da questo mondo – intervistati nelle settimane precedenti l’incontro.
In prima battuta ai giovani – la maggioranza dei quali impegnati in parrocchia, con gli Scout, il CAI, i Comitati di Borgata e le Pro Loco, la Caritas, il Banco Alimentare e quello Farmaceutico, le Consulte Giovanili ed altro ancora – è stato chiesto di condividere una parola o un concetto ritenuti particolarmente significativi durante la visione del video. A colpire i presenti sono stati la gioia e spesso l’entusiasmo derivanti dal fare volontariato, la felicità, la riconoscenza ricevuta, quindi il guadagno e l’arricchimento personale che ne derivano: «Tutti ne ricavano qualcosa, da ambo le parti», hanno affermato alcuni ragazzi. «Facendo volontariato», hanno sottolineato i giovani cittadini attivi, «si impara a organizzarsi, a superare le proprie insicurezze, a improvvisare in situazioni non previste, a maturare». Ricorrente, nelle parole dei giovani, la dinamica del dare e ricevere, spesso vissuta come un vero e proprio “passaggio di testimone”: bambini e ragazzi che hanno ricevuto l’attenzione, l’affetto e le cure di volontari, animatori, catechisti, ecc., diventano grandi, assumendo a loro volta quei ruoli.
Altri aspetti hanno colpito i partecipanti all’incontro durante la visione del filmato: la funzione solidale svolta dal volontariato sul territorio, l’esistenza di differenti opportunità – spesso poco conosciute dai giovani – per chi voglia provare a impegnarsi, la dimensione di comunità che si rende visibile e tangibile attraverso le reti attive nell’associazionismo e nel volontariato. A colpire sono state anche le resistenze che si colgono tra alcuni giovani, con la conseguente difficoltà per chi il volontariato lo vive di far cogliere ad altri il valore di quell’esperienza.
In alcuni gruppi il tema è stato discusso a fondo. «Come è visto il volontariato dai vostri coetanei?», hanno chiesto i conduttori. «È un’attività di Serie B, da sfigato», hanno risposto i ragazzi. «Chi vive in città più grandi delle nostre non capisce il senso di fare volontariato», hanno aggiunto, constatando come pochi dei loro amici lo facciano. «Perché le persone non vogliono avvicinarsi a queste realtà?», hanno incalzato i conduttori. Dalla discussione è emerso che il primo passo – soprattutto per realtà come gli Scout – è il più difficile da compiere perché entrare a far parte di organizzazioni di questo tipo implica la volontà di seguire un percorso e mantenere un impegno nel tempo, cosa che la maggioranza delle persone non è disposta a fare. «Manca la voglia di fare e di mettersi in gioco», hanno detto altri. «Che cosa si potrebbe fare, quindi, per avvicinare i giovani al volontariato?», hanno chiesto ancora gli animatori. «Si potrebbe far leva sulla laicità del volontariato, che stimola maggior interesse e meno pregiudizi nelle persone», hanno risposto alcuni giovani. Per quanto riguarda l’ambiente parrocchiale, invece, «un modo per avvicinare i ragazzi potrebbe essere quello di concentrarsi sull’etica che sembra un tema più sentito al giorno d’oggi e non trattare esclusivamente argomenti legati alla fede». Poi, proseguono i giovani, sarebbe importante riuscire a rendere ancora più concrete le esperienze di volontariato, perché possano essere percepite come realmente utili dai singoli. E soprattutto risulta importante «creare un gruppo solido, sviluppare un senso di appartenenza, creare legami di amicizia che facciano da collante tra le persone e che poi diventino anche un ottimo motivo per condividere insieme esperienze costruttive».
Un’altra domanda posta ai gruppi ha riguardato il tema della partecipazione. «Che cosa significa per voi esserci, contribuire?», hanno chiesto gli animatori. E i giovani così hanno risposto: significa lasciare il proprio segno, seminare, portare avanti un progetto, garantire continuità; aiutare, facendolo in qualsiasi ambito, tenendo in considerazione tutta la comunità, dai bambini agli anziani; dare il proprio contributo per migliorare il contesto nel quale si vive, diventare promotori di benessere, interessarsi a cosa è meglio per la propria comunità e impegnarsi per raggiungerlo; rendersi sempre disponibili rispetto ad opportunità e proposte; sentirsi utili, dare un senso; non essere soli, sentirsi parte di qualcosa; avere una seconda famiglia, provare un senso di appartenenza. Infine mettersi in gioco, facendo nuove esperienze e sperimentando il “sacrificio” – «Si sacrifica un’uscita al bar con gli amici per fare volontariato», hanno osservato alcuni giovani –, scoprendo che questo consente anche di divertirsi, provare soddisfazione, stringere nuove amicizie, stare bene con se stessi e con gli altri, provare – ancora una volta – felicità.
A chiudere il momento di scambio, un altro interrogativo di carattere personale: «Nel tuo gruppo di amici, in famiglia, nella tua comunità cosa pensi di poter dare?». Su questo i giovani sembrano non avere dubbi. La maggioranza di loro ritiene che il principale contributo che un ragazzo e un giovane possono dare è quello di portare felicità, allegria, armonia, sorrisi, anche nell’affrontare situazioni difficili: «Il mio contributo è riuscire a strappare una risata alle persone che mi stanno accanto», hanno affermato alcuni di loro. «Io posso aiutare a trovare il lato positivo delle cose», hanno detto altri. Ragazzi e giovani ritengono di poter offrire anche la loro presenza, l’«esserci fisicamente» per non far sentire sole le persone, così come la capacità di ascoltare, donare affetto e se necessario consigli, consolazione, sostegno e supporto. Anche il tempo è indicato da molti di loro come una risorsa da donare: tempo per l’altro, per le piccole cose, garantendo talvolta un impegno e una disponibilità a 360 gradi, come “tuttofare”. L’apporto personale può coincidere anche con la messa a disposizione delle proprie qualità e di capacità specifiche, oltre che di un particolare punto di vista sulle cose. Il proprio contributo, infine, può essere quello di testimoniare un valore e di trasmettere profondità.
L’incontro ha lasciato aperti interrogativi e riflessioni sui quali ragazzi e giovani potranno tornare all’interno dei propri gruppi. L’occasione si è rivelata favorevole anche per gli adulti, sollecitati a fare il punto su alcune questioni aperte, per esempio il tema dei vincoli – di responsabilità, normativi, ecc. – che hanno in parte mutato il modo di “fare volontariato” rispetto a un tempo. È inoltre emerso un dato positivo: una volta entrati nel circuito della solidarietà, i giovani si rendono disponibili a impegnarsi in differenti campi, non in un unico settore, a testimonianza di quanto il volontariato sia contagioso.
Dopo un momento conviviale, i presenti si sono trasferiti presso il Teatro “Monsignor Lavaroni” per partecipare, assieme ad altre 250 persone, all’evento “Dialogo e musica su La Strada del Sole”, che ha visto protagonista la rock band “The Sun”, sensibile a questi temi.
L’evento è stato promosso da un’ampia rete di realtà locali: l’Associazione “Amici del Teatro” di Artegna, le Parrocchie della Forania della Pedemontana, la Pastorale Giovanile della Diocesi di Udine, il Coordinamento Territoriale d’Ambito dell’Alto Friuli e il Coordinamento delle Associazioni Culturali e di Volontariato Sociale di Gemona, con il sostegno del Comune di Artegna e la collaborazione dell’Associazione Media Educazione Comunità.